da "bello come una prigione che brucia" – trasmissione anticarceraria abolizionista su radioblackout
In questi giorni l’uccisione di Stefano Cucchi sta ricordando la potenzialità omicida del sistema repressivo e carcerario.
I
politici si indignano e invitano la magistratura a procedere nelle
indagini senza remore, la notizia trova spazio sui media nazionali: un
episodio su mille che viene amplificato e stigmatizzato per mostrare
l’umanità delle istituzioni, l’imparzialità della giustizia e,
soprattutto, l’eccezionalità del fattaccio. La settimana Precedente,
presso la caserma di Montecatini Terme, Sorin Calin, un ragazzo rumeno
di 24 anni veniva massacrato di botte dai carabinieri. La versione
ufficiale, pubblicata in un trafiletto insignificante della cronaca
locale di Repubblica ci racconta di come il ragazzo contiuasse "ad
opporre resistenza con urla e atti di autolesionismo, colpendo più
volte il pavimento e le pareti con la testa e altre parti del corpo".
Parole il cui significato è evidente quanto l’omicidio che tentano di
celare. Dalla lettura delle cronache sulla morte di Sorin si palesa il
ruolo corresponsabile di un’altra divisa, di un’altra autorità, quella
medica: alleata partecipe o semplicemente omertosa, di torturatori,
mazzulatori, gestori di gabbie, dalla Croce Rossa nei CIE delle nostre
città all’anestesista nelle camere della morte statunitensi.
Nessuno
ha reclamato la livida salma, nessuna sorella ha rilasciato interviste,
nessuna famiglia ha schierato avvocati o pagato controperizie.
Molti
si indignano, o fingono di farlo, per la morte di Stefano Cucchi, ma
quasi nessuno sentirà parlare di Sorin Calin e degli altri uccisi dallo
stato, soprattutto finchè le loro morti resteranno relegate nei
trafiletti di cronaca locale o nei comparti stagni della
controinformazione.